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domenica 4 agosto 2019

LO STREETWEAR



Lo streetwear è una vera e propria cultura
“Lo Streetwear è un movimento artistico. È un modo di creare le cose” disse, il fashion designer americano e CEO del brand Off-White, Virgil Abloh. Oggi vogliamo sfatare il mito che abita gran parte del pensiero comune moderno: lo streetwear è solo un modo di vestire, è solo moda. Non è così, scopriamo perché.

Cos’è lo Streetwear?
Questa domanda non conosce risposta universale. Bobby Hundreds, Co-Fondatore del brand storico street The Hundreds, è andato alla ricerca di una risposta il più universale possibile realizzando un documentario, Built to Fail, in cui lo Streetwear viene raccontato, per la prima volta da colossi del settore e personalità che hanno vissuto e contribuito alla nascita di questo movimento. Ognuno di loro ha dato una propria definizione e interpretazione - dettata dalla singola esperienza vissuta - di Streetwear. Hundreds ha radunato un grande numero di designer, fondatori di brand storici come Tommy Hilfiger, musicisti e rapper come ASAP Rocky, e insieme hanno parlato e si sono confrontati in merito al movimento, il quale nonostante da una parte non abbia una definizione chiara, dall’altra ha un valore culturale inestimabile.
Nonostante ciò, c’è chi identifica il fondatore e iniziatore dello Streetwear in Shawn Stussy, il quale ha fondato l’omonimo marchio di abbigliamento. Stussy ha avuto l’abilità di unire arte, cultura surf e hip hop della contea di Orange County, California, arrivando a colpire e influenzare New York e il Giappone. Stussy rientra sicuramente non solo tra i colossi e fondatori del movimento, ma anche tra uno dei pochi brand che restano in piedi da anni senza perdere colpi avanzando in maniera eccellente con il tempo che, inevitabilmente, passa e cambia la realtà circostante.

Ed è qui che ci rendiamo conto di quanto sia dura attribuire il titolo di Padre dello Streetwear ad un singolo individuo, perché per quanto Shawn Stussy posinfluente negli anni, quando il movimento non era ancora riconosciuto come tale in tutto il mondo, ogni nazione, paese, città stava sviluppando lo Streetwear a seconda della realtà culturale che viveva. Ad esempio, se tu avessi vissuto in Giappone negli anni ‘80, avresti identificato come padri del movimento Hiroshi Fujiwara - musicista, produttore discografico e designer giapponese - e Nigo - produttore discografico e disc jockey giapponese. Se invece fossi stato un adolescente londinese probabilmente avresti fatto riferimento a Michael Kopelman.

È dunque chiara la difficoltà di rendere universale questo movimento culturale, è difficile mettersi d’accordo per decidere chi ha iniziato lo Streetwear, cos’è, da dove arriva e quando è nato. Meno difficile è identificare l’anima del movimento e chi ha coinvolto.


Cosa e chi rappresenta lo Streetwear?
La risposta a questa domanda è l’unica chiave in grado di sfatare il mito che gira attorno allo Streetwear. Questo non la rende universale o facile da trasmettere, ma è sicuramente il punto essenziale che ha permesso la sua nascita e permanenza all’interno di qualsiasi cultura nel mondo.
Shawn Stussy, Bobby Hundreds, Edison Chen, Erik Brunetti, James Jebbia, e moltissimi altri non hanno iniziato a creare con lo scopo di guadagnare, hanno iniziato a creare perché avevano un messaggio da trasmettere, avevano una necessità da colmare, avevano una passione che li motivava, poi hanno capito che con i soldi ricavati dalla passione avrebbero potuto pagare l’affitto e molto altro, ma questa è tutta un’altra storia.
Dunque all’epoca coloro che acquistavano le loro T-shirt non le compravano perché erano esteticamente belle, perché si abbinavano molto bene con quel jeans che avevano appena comprato o perché facevano tendenza, piuttosto acquistavano le loro T-shirt perché indossandole avrebbero rappresentato una storia, un’ideologia, uno stile di vita nel quale si identificavano e del quale si sentivano parte.

Il motivo per il quale oggi questo movimento culturale non viene comunemente considerato tale è perché molti designer hanno gettato la loro passione e dimenticato il motivo che li spinse ad iniziare per il Dio denaro, ovvero affiliando il loro brand a diverse case di alta moda. Così facendo hanno dato il via ad un effetto domino in cui la reputazione dello Streetwear in quanto tale è calata e ha, in parte, smesso di trasmettere e creare e iniziato a produrre e vendere. Di conseguenza molti hanno smesso di identificarsi e far parte dell’ideologia - che spesso non c’è -, piuttosto hanno iniziato ad acquistare perché è bello e va di moda.

A questo punto non emetterò un giudizio, piuttosto abbraccerò con il pensiero l’idea che, come ho già detto parlando di Shawn Stussy, il tempo inevitabilmente passa e porta il cambiamento, dobbiamo essere noi - io e te - bravi ad adattarci o, nel caso in cui l’adattamento non fosse la nostra prima scelta, distinguerci rimanendo fedeli a quello in cui crediamo e vogliamo essere.

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