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venerdì 16 agosto 2019

PATAGONIA E IL DIVERSO MODO DI FARE MARKETING

Il fondatore di Patagonia

Il Wall Street Journal Magazine racconta chi è Yvon Chouinard, capo della marca di abbigliamento che invita i consumatori a non comprare i suoi prodotti




Patagonia è un famoso marchio di abbigliamento sportivo con quasi 1300 dipendenti, fondato negli anni Settanta da Yvon Chouinard. L’azienda, interamente di proprietà di Chouinard e di sua moglie, è gestita in un modo molto inusuale per una società famosa in tutto il mondo: destina parte dei suoi ricavi annuali a iniziative ambientaliste ed è stata una delle pochissime società a fare pubblicità invitando i consumatori a non comprare i propri prodotti. Queste particolarità discendono direttamente dalla personalità e dalle convinzioni del suo fondatore, a cui il Wall Street Journal Magazineha dedicato un lungo ritratto.

Patagonia è una società molto florida. Lo scorso anno ha registrato vendite per 414 milioni di dollari (320 milioni di euro) e prevede che queste aumenteranno del 30 per cento quest’anno. Nonostante questo, Chouinard non sembra il classico uomo d’affari: dimostra parecchi anni in meno della sua età, è in forma e abbronzato, anche perché in ogni occasione possibile abbandona il suo ufficio nella sede della società a Ventura, in California, per andare a fare surf.
Yvon Chouinard, che oggi ha 73 anni, è nato in Maine, negli Stati Uniti orientali, da genitori di origine franco-canadese che si trasferirono in California quando Yvon aveva sette anni. Fino a otto anni non parlava inglese, dato che la lingua usata in casa era il francese. Passò gran parte della sua infanzia andando a pesca di gamberi intorno al Los Angeles River o cacciando conigli con arco e frecce.
La sua vera passione, l’alpinismo, la scoprì quando andava alla scuola superiore. Chouinard però non era soddisfatto dell’attrezzatura disponibile negli anni Cinquanta, e cominciò a darsi da fare per costruirsela da solo. Imparò il mestiere del fabbro e comprò l’attrezzatura per lavorare il metallo. Nel corso degli anni Chouinard diventò un alpinista di fama mondiale, molto apprezzato anche per le modifiche all’equipaggiamento e agli attrezzi che produceva personalmente.
Negli anni Settanta, Chouinard importava in California maglie da rugby e pantaloni di velluto a coste, alla ricerca di prodotti e materiali resistenti da rivendere ai suoi colleghi scalatori. Patagonia, fondata nel 1972, si dette in breve tempo alla produzione della propria linea di vestiario, che si rivelò di ben maggiore successo rispetto all’attrezzatura da scalata. La svolta arrivò quando, alle sfilate di New York, le case di moda proposero anche le maglie di pile di Patagonia.
Il successo non cambiò comunque le convinzioni di Chouinard e il suo approccio inusuale per l’ambiente. In “Lasciate che i miei ragazzi vadano a fare surf”, la sua autobiografia del 2005 citata dal WSJ Magazine, ha scritto: “Volevo distanziarmi il più possibile da quei cadaveri in abito e con l’aria pallida che vedevo in aereo sulle pubblicità delle riviste”. Chouinard chiama la sua filosofia “MBA”, un gioco di parole sull’acronimo comunemente usato per Master in Business Administration e che lui interpreta invece come management by absence (“gestione in assenza”). A volte rimane lontano da Ventura per mesi, testando sul campo i prodotti della sua società mentre va a pescare o a fare scalate.
Quando è nella sede di Patagonia in California, lavora a una scrivania senza computer né cellulare – Chouinard non li usa – e promuove uno stile molto amichevole e aperto nei rapporti con i suoi dipendenti. Non ci sono orari d’ufficio e sono frequenti le “pause-surf”, anche se i dipendenti devono comunque rispettare alcuni obbiettivi e scadenze fissate in anticipo. Nella sede della società c’è una stanza per fare yoga: l’autore del ritratto di Chouinard sul WSJ Magazine dice che al momento della sua visita, a metà mattina di un martedì, il capo della sezione design dell’abbigliamento maschile era in piena meditazione.
Fin dagli anni Ottanta, Patagonia ha dato l’un per cento dei suoi ricavi a iniziative ambientaliste, per un totale di 41,5 milioni di dollari a partire dal 1985. Patagonia ha promosso il principio “1% for the Planet” anche presso altre società, riuscendo a convincerne altre 1.400 di piccole e medie dimensioni a fare lo stesso.
Un campo in cui Patagonia investe molto è quello dei materiali, cercandone di resistenti e poco dannosi per l’ambiente. Alcune giacche sono fatte interamente utilizzando plastica riciclata. Una sezione del sito di Patagonia, “The Footprint Chronicles“, ricostruisce il costo ambientale della catena produttiva della società, mentre vengono incoraggiate la riparazione e la rivendita dei prodotti rotti o usurati.
A novembre dello scorso anno, quando negli Stati Uniti c’è stata l’annuale ricorrenza del Black Friday – il giorno del consumismo sfrenato, quando i negozi hanno i prezzi più bassi dell’anno e i grandi magazzini vengono letteralmente presi d’assalto – Patagonia ha comprato una pagina intera del New York Times in cui ha messo l’immagine di una giacca e un titolone, “Non comprate questa giacca”. Sotto la scritta veniva illustrato nel dettaglio l’impatto ambientale della produzione del prodotto, in termini di acqua utilizzata ed emissioni inquinanti.
Anche società molto più grandi di Patagonia si sono interessate, dopo molti anni, al modello di gestione attento all’ambiente di Chouinard, che sicuramente ha un grande ritorno dal punto di vista dell’immagine commerciale. Walmart, che ha ricavi annuali circa 800 volte più grandi, si è unita a Patagonia nel Sustainable Apparel Coalition (“coalizione per l’abbigliamento sostenibile”), invitando anche altri giganti del settore come Levi Strauss, Nike e Adidas per una serie di iniziative e di auto-regolamentazioni che impegnino a una produzione sostenibile e rispettosa dell’ambiente.
I critici dello stile organizzativo e economico di Patagonia dicono che quei metodi non funzionerebbero mai per una società quotata in borsa o che vendesse i suoi prodotti a prezzi più accessibili.
Chouinard non sembra molto colpito dalle critiche e va dritto per la sua strada: un paio di anni fa, come racconta il Wall Street Journal, venne invitato a tenere una conferenza davanti a allevatori e commercianti del settore ittico a Vancouver. Colpito dall’ignoranza del pubblico sui temi ambientali, sulle sostanze inquinanti e sui rischi per l’ecosistema connessi alla pesca, decise di fondare una società per il commercio del salmone, Patagonia Provisions, che ha debuttato poco più di un mese fa. Il pesce è pescato nel fiume Skeena, nella British Columbia (Canada Occidentale), con metodi che la società dice ispirati a quelli delle popolazioni native americane. Chouinard ha speso finora 1,3 milioni di dollari in questa impresa, con grossi dubbi sulla possibilità di rientrare nell’investimento.

https://www.patagonia.com

domenica 11 agosto 2019

IUTER

IUTER È UN MARCHIO STREETWEAR DI ALTA QUALITÀ INTERAMENTE PROGETTATO E PRODOTTO A MILANO DAL 2002. SEBBENE I SUOI PRIMI COLLABORATORI E SOSTENITORI FOSSERO TUTTI MEMBRI ORIGINALI DELLE SOTTOCULTURE SKATE E HIP-HOP DELLA CITTÀ, L'OBIETTIVO DI IUTER È QUELLO DI ANDARE OLTRE IL SUO CONTESTO ORIGINALE RICONCILIANDO L'IRONIA , GIOCOSITÀ E NATURA SPERIMENTALE DELLE SUE RADICI ALL'ARTE E ALLA RAFFINATEZZA DELLA SARTORIA ITALIANA.

MENTRE LE ISPIRAZIONI CREATIVE DIETRO LE COLLEZIONI ARRIVANO DIRETTAMENTE DALLE STRADE DEL MONDO, DAL 2010 IUTER REALIZZA I SUOI CAPI NEL PROPRIO STABILIMENTO VICINO A MILANO, SPINGENDO UNA RICERCA E UNA SPERIMENTAZIONE SENZA SOSTA, SVILUPPATE IN COLLABORAZIONE CON ALCUNE DELLE MIGLIORI AZIENDE TESSILI LOCALI. RINOMATO PER I SUOI DISEGNI AUDACI E LA SUA PRODUZIONE PREMIUM, NEL CORSO DEGLI ANNI IUTER HA ANCHE CREATO COLLEGAMENTI IN TUTTO IL MONDO PER CREARE DIVERSI PROGETTI DI CO-BRANDING E COLLABORAZIONE CHE SPAZIANO DAL PRODOTTO ALL'ARTE, AL DESIGN E ALLA MUSICA, DA MONTEBELLUNA A TOKYO.
OGGI IUTER È UN MARCHIO CONOSCIUTO E DISTRIBUITO IN TUTTO IL MONDO, AMATO PER IL SUO DESIGN CREATIVO E LA QUALITÀ DEI SUOI CAPI, PROGETTATI E REALIZZATI IN ITALIA DAL 2002



OBEY

Frank Shepard Fairey (Charleston, 15 febbraio 1970) è un artista e illustratore statunitense. È uno dei più noti esponenti della street-art. È anche noto come OBEY.
Figlio di un medico e di un’agente immobiliare, Fairey cresce nella Carolina del Sud, compie studi artistici e nel 1988 si diploma presso l’Accademia d’arte. Nel 1989 idea e realizza l’iniziativa André the Giant Has a Posse; dissemina i muri della città con degli adesivi (stickers) che riproducono il volto del lottatore di wrestling André the Giant, gli stessi sono stati poi replicati da altri artisti in altre città. Lo stesso Fairey ha poi spiegato che non vi era nessun significato particolare nella scelta del soggetto, il senso della campagna era quello di produrre un fenomeno mediatico e di far riflettere i cittadini sul proprio rapporto con l’ambiente urbano.

The Gigant

Mr. OBEY ,così conosciuto ormai in tutto il mondo, ha voluto con questo gesto, questa performance trasmettere un forte messaggio, quello della possibilità di manovrare le persone a proprio piacimento.
Il fatto che da un gesto così banale sia sorto un così grande successo deve essere subito preso ad esame. Le persone che l’artista ha voluto così invogliare a riflettere su ciò che li circonda, hanno prima criticato il fenomeno poi accettato ed infine reso moda.
Frank Shepard nasce come writer per poi affondare pienamente i piedi nella street art. E’ molto interessante osservare come nella sua semplicità i suoi ritratti di tipo grafico siano estremamente esagerati nei contrasti forti e innaturali dei colori, negli sfondi piatti e nelle pose spesso statiche e che creano diverse sensazioni in base allo scopo del manifesto, basti guardare il progetto Giant con un viso semplice e stilizzato ma nel contempo forte e ammonitore. Diverso invece ciò che si nota nel manifesto si Obama che con viso fiero e forte chiama gli americani alla speranza.


La Sticker Art

La sticker art è di Shepard perchè cosi la considera il suo pubblico, che le attribuisce infinite sfumature di significato. Sin dai primi stickers incollati in città, l’artista si rende conto del potere dell’adesivo come strumento per diffondere un’idea. Le reazioni al suo Andrè gli insegnano che il significato viene fuori da solo. E’ stata la vita delle metropoli a spiegargli che, di fatto, non ha senso teorizzare dato che la pratica porta con sé tutti i suoi significati. Bisogna soltanto offrire al pubblico i giusti stimoli, soprattutto visivi. Ciò che conta per Shepard è l’espressione, dunque il linguaggio. La parola è una delle forme di comunicazione, percezione condivisa. L’immagine ha lo stesso potere, anzi di più. E’ universale come la musica. Il linguaggio ha cambiato il mondo una volta, la stampa lo ha trasformato di nuovo, ogni medium inventato ha apposto le sue regole, rinnegando il ruolo di specchio per farsi invece motore reale, determinante.
Le aziende dominano i singoli perché dominano i mezzi di comunicazione. E’ un fatto, Shepard ha dimostrato il contrario. I singoli possono dominare le aziende perché hanno dalla loro il “medium” della strada, di muro in muro, di sticker in sticker. Il mezzo è il messaggio? E sia. La risposta per Shepard è il muro, vero “medium” di dissenso.

OBEY-obbedire

Quella di Shepard è POPaganda e regala il potere di ideare. Non c’è persona che non conosca Shepard, è ovunque. Non impone un messaggio al suo mezzo ma impone il suo mezzo come messaggio. OBEY è cresciuto in una società che gli ha insegnato come muoversi tra le immagini, senza in fondo spiegargliene il senso. Lo ha portato ad obbedire, senza che se ne accorgesse. Poi è arrivato il Gigante, anche nel mondo di Shepard, e gli ha aperto gli occhi. Ogni adesivo, chiede al suo pubblico di obbedire. OBEY.